25 Aprile 2015: l’impegno ai tempi della maternità


Allora, doverosa premessa, o captatio benevolentiae, fate vobis. Trovare le parole per dire quello che sto dicendo è una cosa complicata, complicata assai.
Di base, mi sento in colpa per non dire, fare, baciare ma soprattutto leggere abbastanza.
La prendo alla larga e vediamo se mi riesce.
La scorsa settimana sono stata a un seminario nella mia ex università, una specie di lezione su come trovare lavoro, una di quelle cose che gli atenei organizzano perché è ovvio che se i laureati che escono dalle loro tenere cure trovano lavoro il prestigio dell’istituzione aumenta e più gente si iscrive e magari pure frequenta, in un meraviglioso circolo virtuoso in cui tutto funziona e tutto va avanti tranquillamente (qui ci sta tranquillamente una risata isterica e macabra tipo Frank-n-Furter).
Questa lectio è stata tenuta, tra gli altri, da un mio professore che quando diedi il suo esame mi era piaciuto molto e ha determinato circa l’80% dello sbattimento organizzativo per liberare una mattinata e andare a sentire cosa avevano da dire.
È stato interessante, non c’è dubbio. Un sacco di utili informazioni su cosa fare e non fare, su come porsi, etc etc.
La platea: tutti (direi) under 30 come me.
Ho il cocente sospetto, tuttavia, di essere stata l’unica mamma, o comunque l’unico genitore presente.
Mi ha colpito un sacco è stato il seguente consiglio dato dai due relatori: “Comprate il giornale. Un giornale vero, serio, una Stampa, un Corriere, una Repubblica, e leggetelo tutto, da cima a fondo. Tutti i giorni. Non c’è niente come la lettura di una testata nazionale per foraggiare l’approfondimento, la riflessione, per essere aggiornati, per fare della conversazione efficace e di effetto, per essere e non apparire, per questo e quello. I giornali online non fanno testo.”.
Ora. Dentro di me si sono animate due mini-me.
Una con montatura di occhiali spessa e l’Unità del 1975 sotto braccio, ingiallitura quarantennale inclusa, che annuiva convinta della bontà del consiglio e suggeriva di lanciarsi immediatamente in edicola, piazzare un deca in mano all’edicolante e accaparrarsi un chilo-chilo e mezzo di carta stampata, per sicurezza, sia mai che si resti senza, anche le testate giornalistiche che non ci rappresentano politicamente per avere un quadro completo della situazione del paese, contraddittorio compreso, in modo da essere pronte a tutto.
L’altra semplicemente osservava mentalmente la scena di un’infanta che strappa felice un giornale qualunque, ma diciamo per par condicio Il Giornale di Sallusti, facendone coriandoli utilissimi alla decorazione della casa e alla distruzione delle ivi scritte.
Beata innocenza, sa sempre cosa è meglio fare.
Comunque, l’altro giorno sono andata prima all’Ikea e poi all’Esselunga con l’Infanta suddetta.
Non ero in preda a una crisi di delirio di onnipotenza, ma avevo solo bisogno di recuperare le viti che mancavano per montare i cassetti – Ikea sei buona e cara ma te prego migliora l’angolo delle occasioni, che io vista perenne crisi economica frequento più di tutto il resto del negozio messo insieme – e fare la spesa (non sono ancora al punto in cui mi va di nutrirmi delle lumache del giardino e delle erbe che trovo nei campi).
All’Esselunga, – perché chi mai ha tempo di fare una sosta apposita per l’edicola?- Ho comprato un giornale (il Corriere, tanto per sentirmi adulta e milanese), con le migliori intenzioni – ovvero, di leggerlo da cima a fondo. Inutile dire come le mie aspettative siano state disattese e il quotidiano, prima dimenticato su una mensola bassa, poi afferrato dalla piccola ormai passata da quadrupede a bipede e fatto a stricioline.
Giornale buttato senza nemmeno essere stato aperto.
Ma cosa è successo nel frattempo? C’è stata quella incolmabile tragedia, l’ultima di una serie e notevole più di quelle che si susseguono ormai quasi quotidianamente solo in quanto enorme, che mi ha ammutolito.
Non sono riuscita a dire o fare nulla, se non iniziare questo post, se non altro per mettermi le idee tutte in fila.
Mi sono chiesta che cosa posso fare in quanto mamma di un essere che ancora non comprende le brutture del mondo e se le vede scritte su un giornale le fa a pezzi, ridendo per il suono che fa la carta mentre si strappa.
Poi, oggi è il 25 aprile e come quasi tutti gli anni in questo periodo recupero la lettura di Pane Nero di Miriam Mafai, che parla della vita quotidiana delle donne nella seconda guerra mondiale e se non lo avete letto procuratevelo anche in fotocopie e leggetelo da cima a fondo perché, almeno per me, che avevo sedici anni quando la nonnafamilias me lo ha messo in mano dicendomi “Ecco, questo me lo ha regalato mia nonna. Già sai, quindi leggilo che è importante” ed è stato un seme che ha fatto germogliare una visione diversa delle cose.
Cosa fanno le mamme quando si devono impegnare, informare, quando devono resistere a una giornata piena o a una parola cattiva o a una guerra o a una strage?
Mi proietto nel futuro a quando l’Infanta potrà capire e le racconterò: avevi quasi un anno e mezzo, c’è stata una strage di migranti nel Mediterraneo senza precedenti, persone come me, te e il babbo e anche come i nonni, nel frattempo erano anche passati 70 anni dal 25 aprile 1945, la storia della nostra famiglia è questa e quella, tu che ne pensi, come ti senti?
Le mamme quasi sempre non hanno tempo per leggere i giornali, nemmeno per comprarli a dirla tutta, tuttalpiù ascoltano la radio nei ritagli di tempo, lavando i piatti e andando i macchina, leggono i libri di notte ma, mi auguro, pensano forte.
Io lo faccio, penso fortissimo, perché domani sarò io a raccontare quello che è successo a un paio di occhi curiosi che non solo vogliono, ma devono assolutamente capire cosa è successo, non per capriccio o per vezzo, per sapere una storia in più, per erudizione, ma perché in una storia detta come si deve, in un libro passato al momento giusto c’è un mondo che ti si apre dentro, e poi non sei più la stessa.
Per cui magari non riuscirò mai più a leggere un giornale al giorno tutti i giorni, ma mi impegno, caro prof, a pensare moltissimo e profondamente, con tutto lo spirito critico di cui sono capace, a quello che mi succede e farlo in ogni momento disponibile.
Chissà se fa curriculum.
Buona liberazione.

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