Ventotto

Siamo agli sgoccioli di questo decennio di “venti”… Venti da nord, da sud e da tutto intorno, un turbine in cui si parte ancora bimbe e si arriva in fondo mogli e madri e laureate e a pensare ai mutui e alla carriera si/carriera no, alla conciliazione famiglia-lavoro e a tutte quelle cose che sembravano lontanissime, appartenenti a un’altra specie di viventi ma che all’improvviso diventano il tuo ordine del giorno, urgente e senza possibilità di procrastinazione.
A pensarci troppo mi viene il groppo (bella rima, badialima!) e allora preferisco andare avanti a testa bassa, che mi viene meglio.


Ieri, appunto, giorno del mio ventottesimo compleanno, è stata quella che nella vita delle persone normali si può definire una “giornata campale”.
C’è stata la preselezione del Concorso (che affettuosamente si potrebbe chiamare anche Concorsone, vista la folla biblica che ha affollato l’esame), alla quale ho partecipato a denti stretti e con lo stomaco attorcigliato per l’ansia.
Tra le mie Paranoie, vince il Paranoio d’Oro della giornata il terrore di non risultare nella lista degli iscritti.
Fortunatamente c’ero. Mi hanno cercato e trovato nel fitto dei nomi due amabili anziani armati di lente d’ingrandimento, mi hanno messo un bracciale di carta verde, mi hanno dato il foglio con le istruzioni e spedita dentro col resto della madria.
Le restanti posizioni nella top-ten dell’ansia ieri sono state occupate da pensieri vagamente schizoidi tipo: “E se poi passo?” “Non è il lavoro della mia vita, ho due lauree, cosa ci faccio qui?” “Pensa al mutuo” “Pensa alla bimba” “Buzzurri” “E se non passo?” “E se inciampo nei gradini e mi rompo l’osso del collo contro la spalliera di ferro?” “E se il sound system crollasse sul tavolo della commissione?”. Un variegato brainstorming di questo tenore caratterizzato da dettagli pulp, che si è interrotto quando sono iniziati i mistici, concitati 25 minuti di prova, in cui la mente fa il favore di dedicarsi di una totalizzante totalità finalizzata a rispondere ai 60 quesiti, come nelle migliori meditazioni. Vedremo cosa si è raccolto tra una settimana, quando tutti e diecimila i test saranno passati sotto l’occhio del correttore automatico e si saprà se sono stata ammessa alla seconda prova o meno. Ho ricevuto varie foto di culi di Aussie e di code di gatto incrociate da parte delle amiche, che nel momento del bisogno si riconoscono anche da questi gesti di vera solidarietà e vicinanza emotiva.

L’Infanta in tutto ciò è stata con il babbofamilias per l’intera mattinata e se la sono cavata alla grande, anche grazie alle fatiche congiunte mie e del tiralatte.

Avendo quindi non una (il mio compleanno), non due (il Concorsone), ma ben tre (mamma e figlia che si ritrovano dopo il tempo più lungo passate separate dal concepimento a adesso, cinque ore circa) cose da festeggiare, il babbofamilias ci ha caricate sul bus sessantuno e siamo stati in centro a mangiare gli arancini alla norma io, i miei preferiti quando ero incinta, e il panino con la milza lui, perché nonostante l’apparenza e l’ascendenza padana, nel suo petto batte un cuore sicuramente terronissimo.
Poi mi ha portato a vedere la mostra di Klimt, per la quale ho un solo commento: emozionante. Ci voglio tornare. Ho anche comprato il catalogo, dando una spallata all’austerity che ci contraddistingue ormai da mesi.

A sera, mi sono guardata indietro e ho avuto l’impressione di aver vissuto quattro giorni pieni, tanto ero stanca.

Avevo talmente tanto sonno che a nulla è servita la voglia di continuare  a leggere la mia ultima ossessione, cioè i fumetti di The Walking Dead su youtube: il letto ci ha viste crollare alle ore otto, un’ora prima della nostra solita ritirata, quando fuori era ancora chiaro.

 

Pane con Okara: mai più senza.

Tra una raccolta di pelame della muta estiva dei due appiccicani, un cambio pannolino, una scossa a Coccinello e uno sguardo fuori dalla finestra – piove! ma noi non ci lasciamo scoraggiare e si va a giro comunque armate di ombrello – trovo anche il tempo di fare il pane, quasi tutte le settimane.
La mia guru della panificazione (e della cucina in generale) è Titli Nihaan, una signora inglese che seguo ormai da anni su youtube e che non mi ha mai deluso. Lei ha tutte le caratteristiche per essere un mio grande amore: è stravagante al punto giusto, concreta, intelligentissima, autoironica e mostruosamente competente anche se del tutto autodidatta. Le sue tecniche di panificazione sono a prova della più becera inettitudine: mostra come fare senza troppi strumenti, aggeggi e ammennicoli, in genere si tratta solo degli ingredienti e di sano olio di gomito. Da quando seguo i suoi consigli i miei pani sono molto migliorati, anche se io mi aiuto spesso con il bimby per questioni di velocità e praticità.

Ma veniamo a noi. Ho fatto il tofu, che è una cosa simpatica e divertente oltre che abbastanza facile, che mi ha lasciato come sottoprodotto un bel po’ di okara. Facendo una breve ricerca sull’internet, la mia fonte di conoscenza primaria da più di dieci anni a questa parte, si scopre che l’okara è la parte non idrosolubile della soia, è ricca di ferro, minerali, proteine e bla bla bla. Aggiunto a pane e muffin ne migliora la consistenza e la grana, aggiungendo un certo je ne sais quoi al sapore e all’aroma.
Per le proporzioni ho seguito i consigli di una generica ricetta americana, non trovando nulla in lingua patria.
Per un pane di dimensioni decenti occorrono:
2 tazze di latte di soia o di riso (o di mucca? non so perché non lo bevo)
2 tazze di okara
8 tazze di farina, nelle proporzioni che si preferisce tra farina integrale e bianca. Io ho fatto con quella bianca perché le mie riserve sono agli sgoccioli.
1 cucchiaino di sale
1 bustina di lievito per pane
1 cucchiaio di melassa o zucchero di canna, abbondante
3 cucchiai di olio, io ho usato quello d’oliva ma credo che anche altri oli siano indicati.

Ci sono due modi per preparare l’impasto: quello veloce consiste nel mettere tutto nel bimby e impartare a velocità spiga per due minuti, o comunque finché l’impasto non si stacca dalle pareti facilmente.
Quello più lento prevede di scaldare il latte e l’okara nel bimby a vel 1, 37°, finché la lucina non smette di lampeggiare. Poi aggiungere il lievito e mescolare vel soft fino a che non si è completamente sciolto, a quel punto lasciare che si attivi per 5-10 minuti in cui si può fare altro (non consigiato alle neomamme).
Poi aggiungere la farina, l’olio e il resto e vel spiga come sopra.
Ho lavorato l’impasto seguendo le ottime e collaudate istruzioni del British Bloomer di Titli, compreso il modo per dargli la forma, ed è venuto veramente favoloso.

Nycticorax nycticorax, Lacrosse, okara e altre storie…

Questa settimana la mammafamilias ha:

– scoperto cos’è una Nitticora. Durante una gita al parco Lambro, nel bozzo naturale che da qualche anno a questa parte si è formato nella zona dove la familia è solita arrivare con cani e tutto, veniva avvistato il suddetto ardeide, insieme a due sapiens, evidentemente bird-watchers, intenti all’osservazione colta e silenziosa del raro esemplare, a mezzo binocolo e macchina fotografica telescopica. Mentre i cani facevano splash-splash nell’acqua, rischiando di spaventare la fauna avicola, mammafamilias, intuendo il fatto che l’uccello in questione era cosa rara e mai avrebbe saputo di cosa si trattasse se non agendo tempestivamente, si dirigeva verso i due sciuri attrezzati e attaccava bottone con la sua consueta faccia di tolla, guadagnando eterna erudizione sulle abitudini della Nitticora e la sensazione di aver fatto una buona azione, giacché si vedeva che il nostro aviofilo non vedesse l’ora di condividere il suo sapere.

– forte del suo nuovo sapere e deliziata dalla biodiversità del Parco Lambro, decide che la famiglia dovrà stabilirsi lì vicino, inizia dunque ossessiva ricerca di appartamenti in zona.

-osservato i progressi dell’Infanta, che ormai afferra, tira, osserva innamorata e stupita per poi assaggiare con foga qualunque cosa su cui riesca a mettere le mani. Coccinello, il sonaglio-coleottero, è dichiarato must-have primavera estate ’14.

– visto dal vivo delle giocatrici di Lacrosse in azione. Conseguentemente, dedotto che nelle sterminate e gelide pianure canadesi dove vengono allevate tali valchirie, ci si nutra di cibi radioattivi che stimolano oltremodo la crescita muscolare, l’aggressività e la biondezza.

– autoprodotto il tofu e di conseguenza l’okara. Grande successo festeggiato con uno degli esperimenti panificatori migliori dell’anno.

– partecipato a pranzo pasquale in differita con famiglia acquisita, in allevamento estensivo di mucche con annesso agriturismo. Luogo che sarebbe da boicottare per senso animalista e per la deriva ideologica vegana che sta prendendo il sopravvento ultimamente. L’Infanta si esibisce in un sit in di protesta, dormendo profondissimamente tutto il tempo in fascia, sotto gli sguardi invidiosi di chi vorrebbe come lei schiacciare un pisolino, appesantito dalla seconda porzione di lasagna al forno. Mammafamilias fa la traduttrice simultanea per Yoko, la fidanzata giapponese del cugino del babbo e rivive le gioie del volontariato animalista con un cucciolo di Australian Shepherd, pareggiando il proprio karma nei confronti dei malvagi allevatori di mucche. Fuori piove, sui giusti e sugli ingiusti.

E martedì, c’è Il Concorso.

Giorni di festa, andata e ritorno

Abbiamo fatto una toccata e fuga pasquale nelle Apuane terre natie: una prova di resistenza alla fatica per l’Infanta, che nonostante ormai si avvicini ai quattro mesi e quindi all’età della ragione, apprezza la mondanità fino a un certo punto e ce l’ha fatto capire con un pianto a gola spiegata in notturna come non se ne vedevano da un po’.
Una prova di resistenza culinaria per noi, che siamo stati viziati da mamme, zie e nonne fino al punto di non ritorno, tant’è che per compensare mi sto nutrendo di pinzimoni e pane sciapo, in ricordo delle mie vite precedenti da monaco francescano.
Mentre Il Concorso si avvicina, per prepararmi all’evento compilo test di logica e di cultura generale, imparando a menadito tutto ciò che una buona cittadina della Repubblica dovrebbe sapere dalla terza elementare e cioè quanti sono i deputati, quanti i senatori, l’età a cui votare e a cui si può essere votati… Insomma tocco con mano il fallimento dell’insegnamento dell’educazione civica nelle patrie scuole pubbliche e la mia generalizzata disinformazione, che mi copre di vergogna e mi fa venire voglia di andare in giro con un sacchetto di carta in testa come il figlio di gatto Silvestro.
Siamo tornati e io mi sento sempre più stretta in questa abitazione non mia, ancora invasa dai peli di cane e di gatto e da mobili che non mi piacciono più, sempre in una condizione di campeggio, di provvisorietà… Sono stufa.
E per protesta, vado a fare una passeggiata.

 

Conversazioni Pasquali

Oggi pomeriggio, chiamata da Nonnafamiliae.

Lei: “Ciao come state?”
Io: “Bene, sto mangiando un coniglietto di cioccolata per entrare nello spirito pasquale”
“Hai anche fatto sesso?”
“…”
“Sai, per entrare nello spirito pasquale!”
“….”
“I coniglietti, il sesso… sono tutte cose molto pasquali, sai.”
“Per il momento mi limito a mangiare conigli di cioccolato, appena completo il quadro festivo se vuoi ti aggiorno… Tu, piuttosto, come sei messa, visto che siamo in argomento?”
“Niente coniglietti ne’ sesso, per il momento”
“Va bè. Allora ciao, devo allattare”
“Ciao, statemi bene”

E poi ci si chiede come mai sono un po’ una strange woman… Buona Pasqua!

Pensieri, parole, curriculum e colloqui

Nonostante la fiacchezza dei vaccini, l’Infanta ieri ha riso per la prima volta. Una risata vera, di gola e di pancia. Io mi sentivo su una nuvola mentre ridevo con lei.
Tre mesi e 15 giorni esatti, e imparare a ridere.
Non male.


Ma veniamo a noi.

In questi giorni ho mandato curriculum un po’ a casaccio dopo essermi stappata dall’horror vacui post lauream proprio l’altro giorno.
Sono stata chiamata a fare un colloquio per una pseudo azienda, al tempo record di due giorni dall’invio del suddetto Civvi.
Mi ritrovo nella profonda periferia milanese, salvata dalla tristezza tipica del sobborgo milanese solo dal tempo stupendo che continua a graziarci in questi giorni, vista delle montagne innevate compresa. Mi ritrovo al quarto e ultimo piano di un blocco di cemento dall’androne angusto e puzzone, un edificio pieno di ufficetti. Appena entro una tizia mediamente piacente, dal look suora-zoccola che tanto piace a certe personalità politiche femminili che, almeno apparentemente, stanno abbandonando la scena pubblica, dondola su dei tacchi improbabili mi supera con un “sorry”, per poi sfoderare un accento della bassa bresciana mentre si rivolge alla sua collega, di aspetto molto più normale.
Mi accomodo in reception e sono accolta da un segretario pelato con gli occhialetti, abbronzatura fake. Mi fa compilare una scheda anagrafica e un test della personalità basato sui tipi caratteriali del medioevo (malinconico, flemmatico, collerico e … Bho.), dopo cinque minuti di crocette viene fuori che sono una malinconica/collerica a parimerito. In sala d’aspetto con me soggiorna una varia umanità: un elettricista triste con la stempiatura, un perito informatico mulatto che risolve un problema al computer del segretario che fa anche il simpatico, una ragazza di colore bellissima che viene chiamata (e se ne va) quasi subito, un tipa che è di Bologna, abita a Lecco ed è arrivata fin qui facendo un viaggio della speranza. Si mette a parlare con una biondina, parlano fitto fitto della loro disperata ricerca di lavoro e nelle pause emerge che sanno tutte le canzoni tamarre che passano in filodiffusione. Dopo un po’ si aggiunge anche un marcantonio, forse slavo, che pure si dimostra amante del genere, vista la foga con cui tiene il tempo. Riesco a intravedere anche una accompagnata dalla mamma, che ha lo stesso taglio di capelli, solo che biondo-tinti invece che rosso-tinti. L’aria generale, la polvere sui davanzali e questa umanità un po’ alla frutta non mi convincono e decido che nell’attesa, farò una breve ricerca su internet per scoprire che l’azienda, a quanto pare, è frutto una faccenda poco chiara e un po’ truffaldina. Ha cambiato nome qualcosa come quattro volte in un anno e si occupa di vendita porta a porta. Chiamo il babbofamiliae e gli chiedo di venirmi a prendere, tanto più che l’Infanta vuole la mamma e si sta disperando. La sento al telefono e mi si torcono le budella. Do’ 10 minuti di tempo ai colloquianti per chiamarmi. Poi me ne andrò senza voltarmi, sperando che non mi ricontattatino.
MA… Proprio un quel momento, il selezionatore spagnolo, che ha le scarpe col tacco consumato, e troppo gel in testa, mi chiama e mi invita nel suo ufficio. Ha due e dico due tizie che sembrano segretarie.
Babbofam. è sotto che mi aspetta e percepisco le sue onde di nervosismo attraverso le onde elettromagnetiche del telefonino. Almeno l’Infanta si è calmata. Mi aspettano, cani e tutto – formazione completa, mica noccioline – nel parchetto lì sotto.
Mi accomodo e mi sento come nel film Tutta la vita davanti.
Inizia uno speed-colloquio in cui lo Spagnolo, in un idioma misto che se fossimo in un paese anglosassone sarebbe un perfetto spanglish, mi spiega come funziona l’azienda. Mi fa qualche domanda, io resto tranquilla e serena, e probabilmente gli dò le risposte giuste perché mi saluta dicendo che mi vuole rivedere domani stesso per un più lungo e dettagliato colloquio che durerà TUTTO il GIORNO. Io gli spiego che ho una bambina di tre mesi che devo allattare e non posso assentarmi senza preavviso per così tante ore, a meno che la bimba non possa venire con me. Non è un’opzione contemplata e restiamo d’accordo per una generica data postpasquale. Io, che nel frattempo ho scoperto che andrei a fare vendita porta a porta, non volendomi trovare davvero nel film Tutta la vita davanti, decido che non mi rivedranno mai più. Torniamo a casa e mi metto a studiare per Il Concorso.
La conclusione, in termini di sincronia con la griglia magnetica terrestre, l’Universo e i piani Astrali, è che evidentemente i tempi non sono ancora maturi perché la mammafamilias si rimetta a lavorare.

Storie di Vaccinazioni

Non è stato un weekend semplice e non è stato un lunedì facile. Ho avuto uno dei miei classici momenti di debacle primaverile e a nulla sono servite lunghe ore all’aria aperta o la tachipirina per farmi passare il mal di testa.
Invece il tempo a Milano oggi è semplicemente glorioso e il mio umore è migliorato di conseguenza.
C’è il sole, ma anche un vento fresco e sorprendentemente pulito che spazza tutta la città.
Oggi era anche il giorno dell’appuntamento per i primi vaccini. Io sono favorevole, nel senso che mi sembra assurdo non farli, ma non è questa la sede per parlarne, magari lo farò al prossimo richiamo.
Quello di cui voglio parlare è che il Babbofamiliae, intuendo la mia fifa blu, ha ritardato di un’ora al lavoro, per accompagnarci, stare lì con noi e riportarci a casa.
Che eravamo gli unici senza una carrozzina, noi e la nostra pataccosa fascia ereditata, in cui le piume delle mie piume dormivano serafiche. Che la dottoressa era carina, come sono tutte le dottoresse con cui ho incrociato il mio fin ora breve cammino di mamma e somigliava un po’ alla mia, di mamma. Che dopo la visita di routine, le punture fulminee sulle cosciotte intonse dell’Infanta le hanno provocato un pianto acuto, tipo sirena, fatto di potente AHH-AHH ripetuti.
Io mi sono sentita le ginocchia che facevano giacomo-giacomo e ho cominciato a ridacchiare.
A ridacchiare, come mi succede quando vado ai funerali, o a trovare qualcuno che sta molto male.
Mi viene da ridere e è una delle cose più imbarazzanti del mondo, perché è una risatina nervosa, che sottintende un mattone sullo stomaco ed è del tutto fuori luogo. Usciamo dall’ambulatorio. Io ho un certo qual bisogno di sedermi e l’Infanta, che è una roccia, si attacca alla puppa, smette di piangere e si addormenta quasi subito.
Babbofamiliae ci riaccompagna a casa.
Io passo il resto della giornata aspettando sintomi febbrili, nervosismo e gonfiore dove sono state fatte le iniezioni, ma la Gaia è sempre la stessa, che studia attenta alla lumachina-sonaglio o alla coccinella-sonaglio, forse profetiche di un futuro da entomologa, protesta quando non ha più voglia di stare sdraiata e mentre portiamo i cani a fare un giretto, sorride sdentata al signore sdentato, che ci apostrofa con un “C’è un po’ di vento, eh!”.
Adesso, è qui che batte sul tavolo per la prima volta in vita sua e io mi dico che potrei anche stare tranquilla, ma intanto, medito di andare a misurarle la febbre…

Letture: Naomi Aldort

Una premessa. 
La sottoscritta è leggermente ossessiva quando si tratta di ansia da prestazione e capire “come funziona”. Dal nonno materno, frequentato troppo assiduamente negli anni dell’imprinting, ho ereditato una passione smodata per i manuali, le ricette, i foglietti illustrativi e le istruzioni (a volte dette “distruzioni”: e ci sarà un perché) in generale.
Uno dei modi in cui affronto un problema senza affogare nell’ansia, dunque, è cercando di capire come funziona il tutto in questione, possibilmente leggendo fiumi di parole sull’argomento, siano esse su carta stampata o su internet. Che queste parole vengano poi messe in pratica, è secondario. Trascorro ore e ore leggendo, con il risultato che spesso, nel tentativo di coprire tutto lo scibile umano su un argomento, emergo più confusa e frastornata di prima, interiorizzo e poi faccio comunque un po’ come viene viene. Babbofamiliae si rifiuta di partecipare a tale delirio bibliografico, laconicamente afferma “che si potrebbe semplicemente seguire il buon senso” promettendo di effettuare le sue letture in un futuro prossimo, cosa che puntualmente viene rimandata. Lui è contento con il buonsenso e io faccio il topo di biblioteca per tutti e due, e poi gli passo il compito facendogli i riassunti nei momenti in cui potremmo che ne so, guardarci intensamente negli occhi e dirci paroline romantiche. 

Affacciandomi alla maternità, dunque alla genitorialità, non potevo esimermi dalla pratica succitata, ovvero affrontare una congrua quantità di letteratura, sia cartacea che internautica. Sono arrivata a Naomi Aldort attraverso uno dei blog che seguo, Bauhauswife. Bauhauswife è una signora che abita in un gelido angolo del Canada, ha quasi sei figli e pochi anni più di me. Ha una vita molto più radicale della mia e scrive cose a parer mio decisamente sensate sull’argomento bambini-decrescita-parto naturale-arte-vita. Tra le letture che recensisce e consiglia nel suo piccolo Amazon-shop, c’è anche “Raising your children, raising yourself”.
Fidandomi, l’ho comprato e l’ho letto. E ho fatto bene.
Naomi Aldort è una psicologa, ha un dottorato di ricerca che non guasta mai e diverse pubblicazioni all’attivo. Insomma non è la prima arrivata nel suo campo.
Il libro propone un ascolto aperto e maturo dei bambini, di trattarli come pari – ma senza esagerare -, di leggerne le angosce e le gioie con serenità, di lasciare che esprimano le emozioni senza sentirsi in pericolo. Spiega perché il bambino ha sempre ragione a comportarsi come si comporta, perché non ha senso dire “no” quando ci verrebbe da dire “no”, ma senza che la situazione degeneri in una specie di giungla selvaggia senza regole né ragioni, e in generale come avere un atteggiamento rispettoso dell’individuo che è la nostra prole, anche se in formato ridotto.
Suggerisce anche di essere indulgenti e gentili con sé stessi, di ritagliare degli spazi protetti in cui esprimere le nostre emozioni e i nostri malesseri senza riversarli sui figli. Dà anche ottimi consigli su come portare avanti un ménage familiare senza troppi strappi.  Il tutto usando le armi dell’autoironia, della leggerezza, del non prendersi troppo sul serio e di vedere le cose in una sana prospettiva. E anche degli esempi pratici, che per me che sono toro con una quantità mostruosa di valori capricornini, quindi irrimediabilmente pratica e calata nella realtà, aiuta infinitamente la comprensione.
Mi è piaciuto molto. Chissà quanto tempo passerà prima che lo traducano in italiano.
L’autrice è anche un’ottima oratrice, i suoi video si trovano su youtube e se capite l’inglese, ve ne consiglio la visione.
Nonostante la mia unica figlia abbia solo poco meno di quattro mesi, la lettura è stata illuminante e mi ha molto pacificato nei confronti di alcuni comportamenti a me altrimenti incomprensibili, delle mie reazioni automatiche e poco sensate, frutto di un vissuto in cui la povera Infanta c’entra poco. Crescere i propri figli per crescere noi stessi. Cosa potevo chiedere di meglio?
Vedremo come va nei prossimi anni.

Storie di Feed

Mentre aspetto che Paterfamiliae torni dal lavoro per pranzare insieme, sono su facebook che cazzeggio per riprendermi dall’invio di un curriculum a un’azienda, il primo dopo la nascita dell’Infanta, che dorme, e rivelo dell’esistenza del blog della Materfamiliae alla Nonnafamiliae, che sarebbe la mia Mater. È così che funziona, con mia mamma non riesco a tenere nemmeno un cece. Ci parliamo su facebook e skype e whatsapp non solo perché lei è una signora hig-tech, ma soprattutto perché abitiamo lontane e abbiamo un certo pudore delle conversazioni telefono, che tra l’altro ci frigge anche le orecchie.
Tempo due secondi, dopo aver cliccato sul link, mi dice “mettici i feed” io, rivelando la mia incompetenza da bloggher  in erba rispondo “i feed?!?” “I pulsantini per condividere” io “… ma lasciamo che la cosa abbia un andamento naturale” (insomma facciamo finta di essere ancora nel 2005, prima di facebook e di tutto il resto, quando ero giovane e sgarzulina) e lei “scrivi per essere letta, giusto?” io le rispondo con una delle faccine di facebook che rappresentano un piccione perplesso.

La Nonnafamiliae è una donna estremamente intelligente, dotata di un cervello fino e di una logica infallibile, anche se lei sostiene di essere illogica (e ci frega tutti). Stando alle premonizioni astrologiche, mia figlia le sarà molto affine. Insomma sono rovinata.

Vado a cercare di capire come si mettono i feed.

Ieri

Ieri è stata una di quelle giornate in cui, dopo tre mesi e mezzo di maternità esclusiva, allattamento, cura e alto contatto ti alzi sfinita e vai a letto sfinita. Una giornata in cui tutto quello che desideri è restare sola, per dormire, leggere, disegnare, andare in bagno per un’ora e poi a fare una passeggiata. Avrei ritenuto accettabile, come programma, anche il compito ingrato di aggiornare l’impresentabile curriculum. Senza cani, gatti, mariti/compagni/uomini, bambine gorgheggianti che passano dal riso al pianto senza addurre motivazioni plausibili.
Insomma la voglia di un’altra vita.
Ieri ho arrancato lungo le ore, ho anche preparato un caffè nell’inutile tentativo di darmi una mossa, cercando di tenere la barca pari tra pelo da muta primaverile degli appiccicani sparso ovunque, lavatrici, disgustoso mangime fresco scongelato per animali, il budino al cioccolato più orrido e colloso della storia (che quel santo ha commentato “sembra un po’ la consistenza di quei dolci giapponesi…”) e l’Infanta, la cui adorabilità ha raggiunto vette epiche negli ultimi giorni, in cui è sempre più una persona, cerca di afferrare le cose e portarsele alla bocca, ridacchia ed è così miracolosa che il senso di inadeguatezza difronte a tale portento diventa enorme. Mia figlia sarà migliore di me, devo cominciare a abituarmi all’idea, magari potrei farci un intero percorso di terapia tanto per passare il tempo.
Ieri, che abbiamo sfiorato la tragedia quando quell’uomo, che sta fuori da mane a sera per guadagnare la pagnotta per tutti noi, è tornato a casa con la cena presa dal giappo, quando avevo appena scolato una faticosissima pasta nelle zucchine sfrigolanti in padella.

Abbiamo mangiato il chirashi, messo in frigo la pasta, ci siamo messi a letto e siamo crollati in un sonno senza sogni. Oggi, cioè domani, è un altro giorno. C’è il sole e la letargia primaverile non mi avrà.
Inizio la giornata con le mie vitamine e un colpo di mano di aspirapolvere, con le finestre spalancate. Più tardi magari aggiorno il curriculum.